A una fiera di economia solidale, un piccolo volantino attira subito la mia attenzione:” Agroecologia, produrre cibo secondo natura. Può l’agroecologia essere un’alternativa sostenibile all’agricoltura industriale?” In una riga, già tante parole che mi piacciono.
Così conosco Marco, trentino d’origine, agronomo e ricercatore, nonché docente di Agroecologia presso l’Università svedese di Scienze Agrarie, che si è occupato di difesa sostenibile di melo e di vite dagli insetti dannosi.
Ha lavorato fin dalla prima gioventù come frutticoltore e viticoltore nell’azienda familiare, che ha recentemente convertito in azienda agro-ecologica, con lo scopo di promuovere la transizione verso un sistema sostenibile di produzione del cibo.
I suoi campi non somigliano ad orti, quanto piuttosto a dei giardini, che nello sguardo d’assieme ricordano i quadri impressionisti, in cui ogni tanto, nella vegetazione, spunta una macchia colorata di piccoli fiori.
Sono molto curati, ma con l’occhio di chi sa anche lasciar fare alla Natura ed osservare. In questo Marco è uno sperimentatore, perché unisce le sue conoscenze alla curiosità di cercare nuove vie. Ci tiene alla sua terra, ci tiene alla Terra. Si vede da come la guarda, da come ne parla. Con rispetto, quasi con senso di protezione. Mi spiega che attraverso percorsi partecipativi con agricoltori facilita la condivisione di valori base, su cui poi basare la conservazione delle risorse locali, l’uso dei semiochimici e dell’agrobiodiversità funzionale, come ad esempio le strisce fiorali ed i siti di svernamento per gli insetti utili. La sua filosofia è quella di fornire alle piante le condizioni ottimali per crescere sane e produrre cibo saporito e ricco di vitalità, coltivare in un ambiente ricco di biodiversità, favorendo il più possibile i processi alla base di un ecosistema naturale.
Per favorire la biodiversità, non effettua arature profonde, al cui posto utilizza il ripper, che conferisce sofficità senza sconvolgere gli strati naturali del terreno. In questo modo, gli organismi che vivono nello strato superficiale (funghi simbionti come le micorrize, lombrichi ed insetti predatori e decompositori) vengono mantenuti vitali e possono fornire nutrimento e protezione alle piante messe a dimora. Così facendo, si riduce al minimo anche l’utilizzo di combustibili fossili.
L’insieme è decisamente pittoresco, e coinvolge più sensi, poiché calpestare anche solo leggermente la menta o il timo è subito un tripudio per l’olfatto. Mi perdo ad accarezzare le piante, ancora bagnate dalla rugiada, cogliendo tutte le sfumature di profumi che si mescolano, in modo armonioso. Esattamente come le piante di questo giardino che produce cibo. Convivono gioiosamente, si aiutano con sinergie che forse a noi ancora sono sconosciute.
Una parte del campo viene seminata con miscele di piante annuali e perenni per sostenere gli insetti impollinatori e predatori, favorire così l’impollinazione ed il controllo biologico degli insetti dannosi (fiordaliso, achillea, lobularia, carota selvatica, grano saraceno, facelia, senape, malva mauritanica, coriandolo, ortica, veccia, rosmarino, timo e salvia sono alcune tra le specie usate a questo scopo). In un’altra parte del campo sono state predisposte strutture di riproduzione e svernamento per ricci, anfibi, rettili ed altri predatori. Non si utilizza nessun prodotto di sintesi (solo in caso di assoluta necessità, sostanze di derivazione naturale ammesse in agricoltura biologica, come il macerato di ortica, la zeolite e l’olio di neem).
Osservo dei bellissimi meli carichi di mele rosse, molto liberi di essere, rispetto ai frutteti tradizionali, in cui le piante sono ingabbiate tra pali di cemento, plastiche varie e potature drastiche, valide sicuramente ai fini della produzione, ma che non rispettano certo la natura della pianta.
Mentre già con l’acquolina scelgo le bellissime (e buonissime) verdure, raccolte al momento, che mi porterò a casa, penso che il futuro sia proprio questo: parlare sì di ecologia e di scelte sostenibili per il pianeta, ma soprattutto fare. Con le mani. Nella terra. Perché è solo agendo che si può avviarsi verso un cambiamento concreto. Facendo, sperimentando, procedendo per tentativi, ma soprattutto confrontandosi. Se davvero lo vogliamo, se facciamo la nostra pur piccola parte, allora davvero potremo invertire la rotta e rimettere al centro di tutto la nostra Terra, come merita.